ISRAELE - PALESTINA - GIORDANIA

"Those who believe and those who are Jews and Christians, and Sabians, 
whoever believes in Allah and the Last Day and do righteous good deeds 
shall have their reward with their Lord, 
on them shall be no fear, nor shall they grieve." 
(Quran 2:62)

(Volevo introdurre il post con una frase di A. Jodorowski perchè va un sacco di moda, ma noi stupidi occidentali siamo già saturi di frasi ovvie e poco interessanti.)


Ho avuto la fortuna di essere cresciuta in una famiglia che non ha mai influenzato le mie scelte di vita con giudizi, pregiudizi e discriminazioni. Un amico gay, un fidanzato di colore, un compagno di classe non cristiano non sono mai stati un problema durante la mia crescita sociale: l'importante per la mia famiglia era non abbracciare nessun estremismo. Nel mio periodo filo-comunista liceale, sono stata obbligata a leggere saggi sul fascismo per smorzare le mie idee utopistiche alla Animal Farm, nel periodo ribelle fine liceale, accanto a Capanna dovevo leggere Montanelli, in quello libertino sia Terzani che la sua acerrima nemica Fallaci. Nel periodo cattolico che è stata una costante imposta fin da subito, invece, non ho avuto altra alternativa che il Vangelo o la Bibbia (Dio solo sa la differenza, per l'appunto). Il periodo cattolico o cristiano (anche qui mi manca uno specifico interesse che mi porti a conoscere la differenza) va purtroppo dalla nascita alla fine della Cresima, e in alcuni casi anche oltre. Io non ho mai capito perchè fossi stata battezzata, ma sapevo che ero normale, come tutti i miei compagni di classe, così cattivi con Michele, invece testimone di Geova. Ero parte del gruppo che giocava dietro la chiesa a basket, che la domenica si incontrava in chiesa per lasciare meno elemosina e spendere più soldi dal gelataio o alle giostre, potevo dire "i bambini in Africa muoiono di fame" e "ho commesso un peccato", magari cavarmela con un paio di Ave Maria dopo aver rubato 5.000 lire al bullizzato della classe, aver detto una miriade di parolacce al giorno e per aver fatto copulare segretamente Barbie e Ken. Che figa la mia religione, posso commettere peccato ed essere perdonata, mica come i musulmani a cui tagliano la mano se rubano!
Con il passare del tempo c'è sempre stato qualcosa che proprio non mi quadrava: si ma questo Gesù o Dio, chi è? Che ha fatto per essere così importante, tanto quanto Freddy Mercury (a 11 anni mi chiedevo se Mercury esistesse veramente o fosse solo un manzo sulla copertina del singolo che papà mi aveva regalato come contrappeso alle Spice Girls). Non avendo Internet sul quale googlare "biografia gesù", ho cercato di capire la storia santa o sacra (mi mancano sempre più basi, lo so) attraverso il Vangelo slash la Bibbia. Sono passata per la cresima e sono arrivata alle superiori, illesa ma confusa. In secondo superiore ho scovato in casa un libro di Rabindranath Tagore e due di Tiziano Terzani che i miei genitori continuavano a vendermi come libri di narrativa ma che in realtà erano timoni di una nave vera e propria. Siddharta letto parzialmente in tedesco e le esperienze mistiche adolescenziali provate ascoltando i Manu Chao sotto consiglio di una grande amica e compagna di classe mi hanno condotta verso un obiettivo non proprio tipico di una teenager con le Marlboro light nella tasca dei Levi's.
Come tutti gli adolescenti ero confusa, ma avendo Hitler probabilmente reincarnato in mia madre, non potevo uscire molto di casa e dovevo crearmi con quello che avevo tra le quattro mura, ovvero libri e musica (col senno di poi: grazie parziale, Hitler-mum!). Insomma, forse c'era altro oltre la religione, ma non potevo rinnegare il mio percorso imposto dalla famiglia, non ero pronta, perciò mi bastava abbracciare a tratti la filosofia buddista di cui leggevo sempre più. Come tutti gli adolescenti, non ero pronta ad uscire dal gruppo, nonostante iniziassi ad andare sempre più a fondo nelle opere di Kerouac, Sartre e Beckett e a lasciarmi alle spalle il realismo vittoriano, il pudore letterario, i romanzi di narratore onnisciente, l'happy ending per perdermi nei racconti senza tempo, senza spazio, senza linguaggio, dove essere liberi di scrivere ciò che si pensa, senza regole, liberi.
Penso che quel periodo della vita di ognuno di noi sia stato molto delicato e burrascoso, abbiamo dovuto capirci e capire gli altri per ritagliarci un piccolo posto nel mondo e costruirci un'identità propria e unica. Restando nel mio piccolo, nella mia città, tra i miei amici di sempre non ho avuto altra scelta che evaderne. Questione di carattere, di curiosità, di geni instabili e lavici. Ad un certo punto mi sono resa conto che mi ero interessata parecchio a molte materie (filosofia generica, letteratura prescelta, medicina di base, arte raccontata da Argan e alcune materie studiate durante la triennale di lingue e letterature straniere) ma non mi ero mai approcciata a testi sacri, a parte durante le lezioni di catechisimo. Quindi, ho maturato l'idea che avrei dovuto leggere anche di religione, per capire, una volta per tutte, perchè non riuscissi a sentirmi parte della religione a me imposta dal battesimo: durante il primo anno da insegnante di inglese (22 anni) uno studente di pochi anni più piccolo di me, Fallou, mi ha regalato un pezzo del Corano, che poi ho letto interamente. A 23 anni il Corano mi aveva lasciato molti dubbi ma tante lezioni di vita, la creazione del mondo secondo il Buddha mi aveva affascinata tanto quanto il libro circa gli dei dell'Antica Grecia e nell'Atorah ci ho trovato la disperazione dell'umanità tramandata per secoli senza la più lontana possibilità che si possa interrompere. Niente, non ce l'ho fatta: a 27 anni mi sono resa conto di non riuscire ad abbracciare nessuna religione, non sono stata capace di accettare l'idea che un essere, di cui io non possa provare l'esistenza, stia muovendo i miei arti dall'alto come un burattinaio e che tutto, compresa l'indomabile natura, sia stato creato da lui. Ma soprattutto: un essere di genere maschile, un uomo.
Un uomo?!?! 
Mio fratello non sa la differenza tra una Scart e un HDMI, come potrebbe un uomo creare l'universo? Fosse esistita una religione che avesse esaltato l'intelligenza di una donna, probabilmente ci avrei creduto!
Ironia a parte, ero arrivata ad una conclusione certa: le Marlboro non erano sigarette per me, troppo finte, solo di scena, costose e fittizie. E così anche la religione cristiana o cattolica, whatever.
Il semi-lungo vissuto in un paese asiatico mi ha sicuramente aiutata al processo di distacco che era covavo da anni, ma quello che più di altro ha arricchito il mio percorso è stato il numero incredibile di input scambiati con gente di tutto il mondo, in giro per il mondo. La comunicazione più efficace è sempre la parola, esprimere i propri pensieri, ascoltare quelli altrui, cambiare idea, modificare i propri limiti, espandere la propria mentalità abbandonando gli schemi è la vera crescita. Essere liberi è la vera crescita.
Tutte le sensazioni provate durante questi incontri e le varie visite alle Moschee, alle chiese, ai templi induisti, buddisti e taoisti non hanno creato neanche la metà delle emozioni provate in un luogo così tanto sacro quanto culturalmente ricco come Gerusalemme. Camminando per le vie della vecchia Gerusalemme, lungo la strada che indica le stazioni della Via Crucis, si incontrano rabbini intenti a raggiungere il vicino luogo di preghiera tra musulmani inginocchiati e diretti dall'affascinante canto del Muezzin, che echeggia per tutta la città. La confusione mistica regna sovrana, ma quella urbana no: sembra che queste tre religioni si siano create il proprio spazio nello stesso luogo, convivendo facilmente. La Old Town di Gerusalemme è un libro sacro aperto al cielo, vicino alla Chiesa del Santo Sepolcro dove pare fosse stata innalzata la croce sulla quale Cristo fu Crocifisso si trova la Cupola della Roccia (o Moschea della Roccia) contenente la pietra che Maometto respinse a terra mentre ascendeva verso il Cielo, attraversando la lunga striscia del Kotel (o Muro del Pianto), dove gli ebrei sono sempre pronti a lasciare quello che a noi appare un lamento e un biglietto con delle preghiere scritte. Gerusalemme è stata un'esplosione di sentimenti, dalle più tenere e ancestrali emozioni di rispetto, comunione, ammirazione nei confronti di un qualsiasi essere umano che veneri un'entità divina a quelle più brutali, contro l'ignoranza, il pregiudizio, l'odio basato sul credo religioso che ha portato a sanguinose guerre e genoicidi autorizzati. Camminando per le strade della Old Town mi sono commossa pesantemente, quel canto islamico proveniente dagli altoparlanti, quello ebraico che sbatteva contro il Muro del Pianto e la litania che rimbomba nelle chiese sono delle note di amore, richiesta di salvezza, di aiuto, è una concessione dell'anima alla speranza di un futuro migliore, di una vita che nell'aldilà cancelli il male vissuto sulla terra. Se tutti deponessero le armi e visitassero Gerusalemme forse capirebbero che la religione unisce i popoli, essendo basata sugli stessi preamboli. Se nel nostro piccolo la smettessimo di erigere barriere e iniziassimo a concentrarci sulla giustizia e sulla condivisione di saperi, ci scambieremmo informazioni importanti e ci arricchiremmo di un patrimonio infinito, superando l'ignoranza che porta all'odio.
Infondo, lo sappiamo tutti, nessuna religione inneggia alla guerra (non pensate neanche lontanamente all'Islam perchè sul Corano non c'è scritto di attaccare una capitale europea come gruppo di terroristi creato dagli Stati Uniti). Nessun Dio vorrebbe i propri figli bombardati, accoltellati, ridotti a brandelli per mano di un altro uomo, da lui stesso creato. Siamo noi esseri umani a volerlo, e sono i nostri governi, non Dio, a tessere la trama delle nostre vite e della nostra storia.
Prendiamo in esame Israele, la Palestina e la Striscia di Gaza: cosa sono? Dei paesi? Delle regioni? Una terra unica o divisa? E divisa da che? Da chi? La storia dalla creazione di Israele ha le sue radici nella convivenza delle tre religioni sopra citate fin dall'antichità. Il territorio originario chiamato Palestina era in realtà una vastissima area comprendente Cisgiordania, Giordania e la Striscia di Gaza, che resterà sottosviluppata e sottopopolata per i secoli di impero ottomano. In questo momento gli inglesi promettono agli ebrei, sparsi per il mondo, che al loro ritorno, questa terra sarà la loro patria nazionale, in cui professare liberamente la propria religione nel rispetto di qualsiasi altra, protetti da qualsiasi azione che potesse pregiudicare i loro diritti civili e religiosi. In questo modo, fu incoraggiato il ritorno dall'esodo ebraico (movimento politico-religioso sionista) che da subito creò tensioni con gli arabi, i quali insorsero in una jihad contro gli ebrei stessi poco dopo la prima guerra mondiale. Ecco l'inizio di una guerra che dura ormai da quasi cento anni.
Gli alleati inglesi trovarono una soluzione di separazione territoriale diseguale lungo il fiume Giordano: dividendo la Palestina dagli Emirati transgiordani. Durante le numerose persecuzioni subite dagli ebrei in tutto il mondo durante il periodo bellico, gli ebrei palestinesi propongono un'ulteriore divisione della propria terra in due stati, per mettere fine ai conflitti perpetui tra arabi ed ebrei e per far riconoscere la loro terra: Israele 20% da Tel Aviv al nord del confine, territorio arabo capace anche di ospitare gli ebrei perseguitati in Europa 80%, proposta chiaramente rigettata dagli arabi, che continuarono la loro guerra santa. La convivenza inter-religiosa diventò ingestibile a tal punto che nel 1947, il Regno Unito lasciò questa terra, rimettendone la gestione nelle mani della neonata ONU, che avrebbe dovuto mediare tra le proposte di ripartizione territoriale arabe ed ebree considerate inaccettabili creando un'altra ripartizione del territorio, più equa della prima ma allo stesso modo rigettata dagli arabi che mandarono la Lega degli Stati Arabi (Egitto, Giordania, Siria, Libano e Iraq) a combattere contro gli ebrei in Palestina. Alla proclamazione di indipendenza israeliana, inizia la prima delle quattro guerre arabo-israeliane nel 1947, seguita da quella tra Israele ed Egitto nel 1957, dalla guerra dei sei giorni del 1967 (che proclamò l'esistenza dello Stato di Israele) e da quella del Kippur nel 1973. Le successive intifada del 1987, 2000, 2008 e 2015 rappresentano la volontà del popolo arabo palestinese (il gruppo di leader di Gaza uniti ai palestinesi con il titolo di Hamas: Islamic Resistance Movement) di disfarsi dell'occupazione militare israeliana dal proprio territorio, non rinunciando alla violenza, spesso esercitata attraverso bombardamenti, attacchi missilistici e attentati che hanno dato al gruppo la classificazione di "gruppo terroristico" in molti paesi inclusi Israele e, ovviamente, gli interessatissimi Stati Uniti di Amuuuuurrrrica.
La precisione e l'eventuale esattezza del mio studio approfondito dipende da cosa mi hanno fatto entrare in testa libri, giornali e siti Internet governati, gestiti e manovrati da chi ha interesse a farmi schierare dalla parte dei "giusti". Ma la mia incurabile curiosità non mi permette di fermarmi alla passività ricettiva tipica del mio popolo, perciò quello che ho capito andando a testare con mano quale fosse la reale situazione politico-sociale di questa grande e importantissima regione è che i palestinesi, come i tibetani, non accettano i confini geo-politici a loro imposti, nè la loro appartenenza ad uno Stato nel quale non si riconoscono. A differenza dei pacifici tibetani, però, combattono violentemente per ottenere la propria libertà e questo, ai miei occhi, fa di loro dei grandi guerrieri, che con tutti i mezzi cercano di liberarsi dei "giusti", che sappiamo tutti, di giusto non hanno proprio nulla.


E con l'autobus 405 che fa sponda tra Gerusalemme e Tel Aviv si passa attraverso una linea di confine ben distinta tra Palestina e Israele: l'architettura cambia, l'immagine agli occhi di chi guarda la città di Tel Aviv è completamente diversa da quella proposta da Gerusalemme.

Tel Aviv, dicono, è viva, moderna, eclettica e colorata. Il lunghissimo lungomare che dalla città vecchia porta fino agli alberghi di lusso del vecchio porto, corre lungo spiagge affollate di surfisti, hipster in skateboard, giovani seduti in bar in stile europeo, turisti che scattano foto all'unica parte occidentale della città. Ma perchè tutto deve necessariamente diventare occidentale? Perchè omologare una città araba allo standard accettato dal turista occidentale? Pur non essendo (ancora) stata negli Stati Uniti, il lungomare di Tel Aviv mi è sembrato simile a molti altri americani, visti e rivisti in televisione e sui giornali dozzinali, quindi non è stato questo a catturare la mia attenzione. Piuttosto Old Jaffa, la parte storica, la città vecchia, in cui baretti, negozi locali e piccole gallerie d'arte si dipanano tra le stradine illuminate di sera da vecchi lampioni di luce gialla. Old Jaffa è un piccolo borgo in salita che racchiude l'essenza dell'unione tra vecchio e nuovo, sempre matenendo un certo stile proprio, che riesce a cambiare completamente faccia a seconda che lo si frequenti di mattina o di sera: le luci soffuse, il silenzio delle strade notturne lasciano spazio al mercato delle pulci, a saracinesche abbassate per via dell'evidente mancanza di mercato del lavoro e ristoranti semplici ma ottimi come Dr. Shakshuka, il miglior posto dove mangiare la specialità locale, appunto il shakshuka (uova cucinate nel sugo con cipolla, peperonici e cumino).
Uscendo dalla città vecchia ci si imbatte in interminabili quartieri in costruzione, distrutti, rimessi in piedi alla meglio, tra i quali però, spuntano mercati di spezie, botteghe di artigianato e negozi di vario tipo. Il centro, capeggiato da Rotschild Boulevard, è un tuffo nell'arte Bauhaus della Germania degli anni Trenta (distrutto dai Nazisti e ricostruito in gran parte) conosciuto come "the white city" e partimonio UNESCO dal 2003. È facile perdersi tra ristoranti, mercati al chiuso, club, bar, negozi e servizi di ogni genere, è come se fosse la terza faccia della città, dove tutto è a portata di mano e quasi si dimentica di tutto ciò che è attorno. È qui, per strada, tra migliaia di persone, che ho trascorso la mezzanotte del nuovo anno, sicura che non ci sarebbe stato nessun attacco terroristico come tutti mi intimavano di temere fortemente. La gente attorno a me, di varia provenienza geografica, non credo fosse intimorita dall'ISIS o dai terroristi brutti musulmani con la barba lunga che guardiamo con circospezione prima di entrare in metropolitana a Roma o a Londra. Ci siamo divertiti tutti insieme, sapendo che nessun posto è più sicuro di altri e nessun posto è più pericoloso di altri. Beh, a Geraniou Street ad Atene e Adriatico Street a Manila ho rischiato davvero la vita e non per terrorismo, ma per fame. Ma queste sono storie per turisti, come i problemi di smarrimento documenti, il maltempo e i post scritti (male) nella lingua della meta vacanziera (es. "See you sun New York City" postato da JFK Airport).

E io, per conformarmi almeno un po' alla società (dato che sono atea, favorevole ai matrimoni e alle adozioni gay, favorevole agli accordi pre-matrimoniali, decennale astensionista, rock 'n' reggae, tarantata emotivamente e fisicamente) ho fatto un po' la turista stavolta, ma con garbo e consapevolezza: tramite un'agenzia israeliana (touristisrael.com) ho prenotato un tour organizzato che da Tel Aviv mi avrebbe portato a Petra and back per du spicci: 400 croccantissimi euro (nei quali, vorrei vedere, era incluso il trasporto, il pernottamento in un villaggio di beduini nel Wadi Rum, pasti, i visti di entrata e uscita, guida con poliziotto di accompagnamento e il biglietto per entrare a Petra).

Il tragitto da Tel Aviv a Eilat è stato come un percorso verso l'indefinito: dalla città al Mar Morto, dall'autostrada pattugliata da carri armati alla "futura Las Vegas israeliana" (come la presentava Netanyahu due anni fa) sul golfo di Aqaba. Eilat è quella città che nella canzone di Fiorella Mannoia appare posizionata tra deserto e mare, vita e morte, natura e spregevole umanità e che dal vivo dà la stessa impressione.. con qualche casinò e centro commerciale in più, che magicamente si dissolvono con il border crossing per Aqaba, una cittadina racchiusa in un quadrilatero di strade polverose e assolate, con insegne in arabo, donne in burqa e Jeep sgangherate ovunque. Sono in Giordania, se non fosse chiaro, la romantica e ospitabile Giordania, così legata alla sua storia e alle sue tradizioni da non vendersi facilmente al turismo di massa (che per fortuna la evita, credendo sia infestata da atti terroristici). Lo spettacolo della natura della Rift Valley è il personalissimo benvenuto che ci accompagna fino al Wadi Rum e il giorno dopo alla breathtaking Petra. Scrivo molto ma penso e parlo decisamente di più, in modo a volte anche sproporzionato, ma non sono mai riuscita a descrivere e a spiegare il Wadi Rum e Petra.

Continuo a ripetere a me stessa solo le immagini di bellezza disarmante che ho visto con i miei occhi e che, se mi fosse stata raccontata, o mostrata in foto, non avrei mai riconosciuto: il colore rosso della terra ancora sotto le mie scarpe, il vento sabbioso, il kajal sotto gli occhi dei beduini, le loro urla e i loro fischi, il gusto del té fatto in casa, il cammino lungo il Siq, l'odore di hashish tra le rovine dell'anfiteatro di Petra, l'inconfondibile odore di cammelli, muli, capre e cavalli allo stato semi brado e la maestosità di una costruzione millenaria che non entra nel campo visivo.



Cioè, come posso dire "grazie a Dio" se tutto ciò esiste? Grazie ai Nabatei, grazie ai Bdoul, al governo locale che ha costruito un villaggio ai beduini che fino al 1995 vivevano nelle grotte del Wadi Musa, lasciando loro, però, il monopolio commerciale nella zona.
Insomma,  DIO C'È, ma solo nelle zone di smercio di Droga In Offerta a Costi Economici.




























 

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